Nel 1854 il sacerdote genovese Johann Battista Olivieri gli ispirò l’opera destinata al riscatto e alla formazione cristiana dei bimbi negri venduti schiavi che accolse con entusiasmo. Ancora nello stesso anno, l’11 novembre, cominciò ad accogliere i primi due piccoli negri che educò con risultati confortanti.
Questo primo esperimento positivo indusse Ludovico a progettare l’invio di missionari, sacerdoti e laici, in Africa, reclutati tra gli indigeni. Si trattava già, in definitiva, del programma apostolico di largo respiro che Daniele Comboni, poi amico e collaboratore di Ludovico, avrebbe sintetizzato: «L’Africa deve convertire l’Africa». Ferdinando II, re delle Due Sicilie, il 20 febbraio 1856 non solo approvò l’iniziativa, ma la pose sotto la protezione reale. Nell’agosto dello stesso anno, alla Palma, erano già riuniti 9 bimbi negri. Il 9 febbraio 1857 ottenne dal re Ferdinando la somma necessaria per il riscatto di altri 12 fanciulli. Essendo sopravvenute delle difficoltà per la consegna, il 9 aprile dello stesso anno si imbarco per il Cairo. Ritornato a Napoli, presentò al re i riscattati.
Questo nuovo tipo di lavoro missionario richiedeva appoggi e cooperatori. P. Ludovico sottopose perciò il suo piano prima all’Ordine ed ebbe l’approvazione del ministro generale Venanzio da Celano e dal definitorio generale il 16 marzo 1858. All’approvazione dell’Ordine, del re e dei ministri fece seguito quella della S. C. di Propaganda Fide.
In breve i moretti divennero cosi numerosi che il convento sorto allo Scudillo, detto della Palma, divenne insufficiente; saputo ciò, il re di Napoli, Francesco II, donò alla sua opera un intero edificio.
Uguale disegno Ludovico Palmentieri realizzò anche per le bimbe di colore, che pensò di riscattare ed organizzare in corpo missionario; in tale tentativo lo coadiuvò suor Anna Maria Fiorelli Lapini, fondatrice delle Stimmatine. Il collegio delle «morette» sorse a Napoli, a Capodimonte, il 10 maggio 1859. Vi si trovavano 12 bimbe di colore e contemporaneamente vi erano educate fanciulle povere della città.
Nel 1860, con la caduta dei Borboni, dei quali P. Ludovico aveva conosciuto la beneficenza e la protezione, sottopose a Pio IX la sua preoccupazione intorno alla validità del suo lavoro. Riassicurato dal consiglio del Papa, non solo continuò la sua attività caritativa, ma partecipò attivamente all’opera di conciliazione tra i vincitori e i fautori dell’antico regime.
Impegnato a lenire non solo le sofferenze materiali, mostrò anche viva sollecitudine verso le povertà spirituali. Per difendere il cattolicesimo dagli assalti dell’indifferentismo liberale, fondò a Napoli, nel 1864, un’«Accademia di religione e scienze», ottenendo l’adesione di illustri scrittori. Con un simile programma fondò nello stesso anno il periodico La Carità. Per diffondere l’istruzione cattolica tra i giovani delle classe agiate, nel 1866, pochi mesi prima della soppressione degli Ordini religiosi, diede vita al collegio «La Carità», dove studiò il giovane Benedetto Croce. A questi generosi tentativi in campo culturale ed educativo, benché non abbiano avuto risultati duraturi, si devono aggiungere l’avvio di altre quattro riviste, l’edizione in lingua italiana di tutte le opere di s. Bonaventura, un’edizione tascabile di tutta la bibbia, la fondazione di tipografie e bande musicali. Infine fu anche ispiratore della futura università cattolica italiana.
Inoltre promosse numerose opere di beneficenza in favore di bimbi orfani, sordomuti, rachitici, sofferenti e poveri in genere, fondando diversi orfanotrofi, convitti, scuole, ospedali ed ospizi per i vecchi.
I suoi collaboratori furono innanzitutto i Terziari francescani che egli desiderava impegnati attivamente nella promozione del bene. Soleva dire: «Il Terzo Ordine senza un’opera di carità né mi piace né lo desidero». Alcuni di questi generosi collaboratori facevano poi parte delle due congregazioni fondate da P. Ludovico, nel 1859 la Congregazione dei Frati della Carità, detti «Bigi», per i maschi, e nel 1862 la Congregazione delle Suore Francescane Elisabettine (Fig. ) per le femmine, dette «Bigie».